La holding di famiglia
- Studio Brandi
- 31 ott
- Tempo di lettura: 3 min
Negli ultimi anni, il termine holding di famiglia è entrato nel linguaggio comune come sinonimo di protezione patrimoniale, vantaggio fiscale e pianificazione successoria. Molti la presentano come una “cassaforte legale”, un modo per pagare “solo l’1,2%” di tasse e tenere al riparo i beni da rischi, banche e Fisco. Ma la realtà, per chi conosce la materia, è molto diversa. Una holding non è un espediente, né un rifugio: è un sistema economico che deve rispondere a una logica, non a una moda.

Il celebre “1,2%” nasce dal regime di Participation Exemption previsto dall’articolo 89 del TUIR. Quando una società riceve dividendi da una partecipata, solo il 5% di quell’importo concorre alla base imponibile IRES. Applicando l’aliquota ordinaria del 24%, l’imposizione effettiva è dell’1,2%. È una norma di buon senso, volta a evitare la doppia tassazione sugli utili già colpiti in capo alla società operativa. Non è un vantaggio “speciale”, ma una regola di equilibrio del sistema tributario. E funziona solo se gli utili restano nel perimetro societario per essere reinvestiti in attività economiche, non se vengono immediatamente distribuiti ai soci persone fisiche, che scontano la tassazione ordinaria del 26%. Da questo principio discende un concetto fondamentale: la holding non elimina le imposte, ne differisce l’effetto.
E il differimento ha senso solo se risponde a una strategia economica coerente: reinvestire, crescere, diversificare, pianificare. Al contrario, una struttura costituita unicamente per “risparmiare imposte” è priva di sostanza economica e, di conseguenza, vulnerabile. Una holding che non investe, non gestisce e non coordina diventa un contenitore formale, costoso e facilmente contestabile. Una holding di famiglia ha un significato preciso quando nasce per finalità reali:
coordinare più società operative sotto una regia unitaria,
amministrare in modo efficiente la liquidità e gli utili del gruppo,
separare i rischi industriali dal patrimonio familiare,
pianificare la successione e la governance generazionale.
In questi casi la holding non è una “cassaforte”, ma un centro di governo. Una struttura logica che porta ordine, continuità e controllo. Molti, tuttavia, confondono la protezione con l’occultamento. Intestare tutto a una holding non significa essere al sicuro: significa concentrare decisioni, responsabilità e rischi in un unico soggetto. La vera tutela nasce dall’equilibrio tra attività operative, patrimonio e governance, non dall’accumulo indiscriminato di beni sotto un’unica entità giuridica. Una struttura ben progettata deve essere sostenibile, leggibile e difendibile, anche in sede di verifica. È su questo confine che si colloca il tema dell’abuso del diritto. L’articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente ha definito con chiarezza la linea di demarcazione: un’operazione formalmente corretta può essere considerata abusiva quando è priva di sostanza economica e mira a conseguire vantaggi fiscali indebiti. In altre parole, la liceità non dipende dalla forma, ma dalla coerenza tra forma e contenuto. Una holding costituita per motivi economici, di governance o di successione è pienamente legittima; una holding costruita solo per intercettare benefici fiscali è invece un artificio, destinato a non reggere alla prova dei fatti. Oggi la prassi dell’Amministrazione finanziaria e la giurisprudenza, anche comunitaria, guardano alla sostanza. Ciò che rileva non è più la mera conformità formale, ma la presenza di una logica economica sottostante. Le strutture prive di un razionale operativo vengono disconosciute, e i vantaggi fiscali annullati. È un segnale chiaro: la pianificazione fiscale resta pienamente ammessa, ma deve fondarsi su motivazioni reali e documentabili. Una holding di famiglia ben costruita è uno strumento di governo e continuità. Permette di gestire con coerenza i flussi economici, rafforzare la patrimonializzazione del gruppo, pianificare con trasparenza il passaggio generazionale e garantire stabilità nel tempo. Ma tutto questo è possibile solo se la struttura nasce da un progetto, non da un modello standard. Una holding deve essere conseguenza di un disegno imprenditoriale, non un punto di partenza artificiale. Nel contesto attuale, in cui la trasparenza fiscale e la tracciabilità delle operazioni sono principi cardine, costruire una holding “senza logica” è non solo inutile, ma pericoloso. Le strutture che non rispondono a esigenze economiche concrete non offrono protezione, ma espongono a rischi di contestazione, responsabilità e danno reputazionale. Un sistema funziona quando ha una ragione, un equilibrio e una coerenza. Una holding, se ben pensata, è un sistema di governo, non una scorciatoia fiscale. Richiede metodo, analisi e visione d’insieme. Quando rispetta queste condizioni, diventa uno strumento di efficienza e di stabilità; quando nasce da logiche opportunistiche, si riduce a un fragile artificio giuridico.
Se hai costituito una holding senza una logica precisa — solo per “pagare meno tasse” o perché qualcuno ti ha detto che era la cosa giusta da fare — questo è il momento di rimettere ordine. E se stai valutando di crearne una, contattaci, partendo dal progetto economico e non dallo schema fiscale.
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